Com'è tradizione, da tre anni a questa parte, la Giornata della memoria entra nella didattica ritagliandosi momenti di riflessione e approfondimento.
Tutte le classi della scuola media hanno assistito alla proiezione del film "Woman in Gold", pellicola che ha affrontato una tematica poco nota ai nostri allievi, cioè quella dei beni trafugati dai nazisti.
Gli alunni delle classi terze hanno ulteriormente proseguito la riflessione incontrando il Signor Colombo, nostro concittadino sopravvissuto ai campi di concentramento, e il giorno 4 aprile visiteranno il Memoriale della Shoah a Milano.
Due alunne di terza media ci presentano le loro riflessioni sulle attività proposte in questa occasione.
Venerdì 3 febbraio noi alunni delle classi terze siamo andati nella Sala consiliare del nostro Comune per incontrare il Signor Colombo, sopravvissuto ai campi di concentramento. Il Signor Colombo era aiutato da sua figlia visto che non ci sente bene ma, nonostante questo, era in gran forma. Ci ha raccontato che fu catturato dai Tedeschi l'8 settembre 1943 mentre prestava servizio nell'esercito italiano. [ Quel giorno fu reso noto l'armistizio tra l'Italia e gli Alleati angloamericani e i Tedeschi da alleati diventarono nemici degli Italiani. ]
Colombo fu portato nel campo di Mauthausen (in Austria). Ci ha detto che tutti i deportati venivano trasportati in vagoni per il bestiame che avrebbero potuto contenere al massimo quaranta persone ma loro erano in cinquanta, tutti stretti e senza niente da mangiare né da bere. Ancora adesso, quando fa la doccia, gli viene in mente di quando, durante il viaggio in treno, aveva una gran sete e, visto che pioveva e che sul tetto del vagone c'era un'apertura con una griglia, salì sulle spalle di un amico, mise fuori la mano e bevve l'acqua che gli scendeva sul braccio.
Dopo ci ha spiegato che, una volta arrivati al campo, i Nazisti scrivevano sul loro braccio il numero che poi sarebbe stato il loro nome. C'erano due modi per scrivere il numero sul braccio: si poteva segnarlo con una specie di pennarello indelebile, ed è la tecnica che hanno usato per scrivere il numero al Signor Colombo, oppure si poteva marchiarlo a fuoco. Il suo numero era 1369 e ci ha detto che prese molte frustate perché non se lo ricordava mai.
Successivamente, dal campo di Mauthausen fu portato in altri campi e poi passò anche da Auschwitz. Lì i deportati furono fatti scendere dai vagoni e vennero divisi in due gruppi: la fila di sinistra era la fila di quelli che sarebbero andati a lavorare, quella di destra era invece quella delle persone destinate ai forni crematori. Di fianco a lui c'era una ragazzina ebrea di circa 13 anni che pregava: “ Signore, fa' che non diventi fumo!” e la mamma, sentendola, le disse: “Va' con quei porci (intendendo i Nazisti) piuttosto che morire!”.
Il Signor Colombo ci ha anche raccontato una tipica giornata nel campo di concentramento: la mattina la sveglia era alle 5.00 e la “colazione” con pane nero e margarina alle 6.00; poi si iniziava a lavorare. Lui era addetto al trasporto e al seppellimento dei cadaveri; erano soprattutto russi: ne morivano 20, 30 al giorno. Ci ha detto che, a volte, ce ne erano alcuni vivi e che doveva seppellirli lo stesso perché c'erano sempre le sentinelle a controllare.
Un giorno un ragazzino di 12 anni venne impiccato nella piazza principale del campo perché aveva tentato di fuggire: lo impiccavano nella piazza principale davanti agli occhi di tutti per farli spaventare e dare l'esempio della fine che avrebbero fatto coloro che avessero trasgredito agli ordini.
Una notte il Signor Colombo e due suoi compagni di prigionia, rischiando la vita, andarono a rubare delle patate rovinandosi tutte le unghie scavando nel terreno ricoperto di ghiaccio.
Dopo circa due anni e mezzo, tra prigionia e viaggio di ritorno, Colombo tornò a casa e per diverse notti dormì per terra perché il letto era troppo comodo.
Io spero vivamente che questa tragica storia, come tante altre, non si ripeta: uomini, donne, bambini uccisi senza un motivo...
Il Signor Colombo, nonostante i suoi 93 anni, si ricorda tutto come se fosse successo ieri. Sentire la testimonianza di una persona che ha vissuto veramente questa esperienza è tragico ma bello e serve per ricordare!
“Woman in Gold” è il film che io e gli altri alunni della mia scuola abbiamo visto in occasione del Giorno della memoria. Non tutti hanno capito e apprezzato questa visione: io non sono tra questi.
La vicenda inizialmente si svolge in America, negli anni Novanta circa. La protagonista, una signora anziana, alla morte della sorella trova delle lettere e un'immagine del quadro della zia defunta Adele Bloch- Bauer fatto dal famoso pittore viennese Gustav Klimt. Questo quadro, durante la Seconda guerra mondiale, era stato sequestrato dai nazisti alla famiglia Bloch- Bauer perché ebrea. Dopo la guerra, il quadro, secondo il volere di Adele, era stato esposto al Belvedere di Vienna dove la famiglia abitava. Maria Altmann, la protagonista, era riuscita a fuggire dall'Austria assieme al marito all'inizio delle persecuzioni ed era riuscita a salvarsi. Si era trasferita in America cercando però di non dimenticare quello che le avevano fatto i nazisti: l'avevano privata dei suoi cari, di tutti i suoi beni solo perché era ebrea.
L'anziana signora, giunta alla conclusione di voler riavere quel quadro, contatta un avvocato, ovvero il nipote di un vecchio amico di famiglia, il signor Randy Schonberg. L'avvocato inizialmente aiuta Maria solo per soldi: il quadro di Klimt valeva parecchio. Va allora in Austria con la signora Altmann per cercare di riavere ciò che è dell'anziana di diritto. Il Belvedere però non vuole restituire il prezioso quadro, diventato ormai simbolo dell'Austria. Il direttore si aggrappa alla scusa che era il volere della donna ritratta far esporre il dipinto nel museo. L'avvocato, con l'aiuto di un giornalista austriaco, scopre che quello di Adele era solo un desiderio, non un testamento. Il dipinto era in realtà del marito il quale voleva andasse ai discendenti, quindi a Maria Altmann. Il Belvedere non cede: i due protagonisti per ottenere ciò che è di diritto dovrebbero fare causa al museo, portarlo in tribunale. L'unico ostacolo è che per arrivare in tribunale servono molti soldi e la signora Altmann non può sostenere tale spesa. I due tornano allora in America: poco prima di partire però sostano davanti al monumento dedicato agli ebrei austriaci morti nei campi di concentramento. Tra i vari nomi ci sono anche quelli dei nonni di Randy e questo gli fa capire che riavere quel quadro non significa solo guadagnare ma avere giustizia. Quel quadro era stato preso con la forza, era stato tolto alla famiglia senza alcun diritto. Perché non lottare per quello che è proprio? Perché non esigere quello che è tuo? Gli ebrei o comunque tutti i perseguitati non hanno solo subito violenze, non sono stati solo maltrattati, sono stati anche privati dei propri averi. Finita la guerra inoltre non sono stati loro restituiti... Perché lasciar correre? Perché lasciare che ci si dimentichi di quello che è stato fatto? Bisogna avere giustizia, bisogna lottare per ciò che è giusto.
Passa un po' di tempo: Maria si dà per vinta, ma Randy continua la sua battaglia. Trova un modo per far sì che la causa venga portata in un tribunale americano e si batte per la restituzione del dipinto. Alla fine giustizia è fatta: la signora Altmann riesce ad ottenere il quadro.
Nel film alcuni flashback ci presentano il passato di Maria: gli anni della sua giovinezza, il momento della fuga e dell'addio ai suoi genitori che non avrebbe più rivisto.
Il film non faceva vedere i campi di concentramento e come venivano maltrattati gli ebrei all'interno di essi. Io però lo ho trovato ugualmente triste e toccante: non penso si debba per forza far vedere i campi di concentramento per far capire quanto hanno sofferto i perseguitati, per mantenere vivo il ricordo di quello che è stato fatto loro. Basta anche solo far vedere che sono stati privati delle proprie proprietà. Questa non è una cosa da poco. Sono poi riuscita ad emozionarmi ugualmente nonostante non abbia visto alcuna scena “tragica”. Mi sono emozionata in particolare nei momenti di cui ho parlato prima. Specialmente quando Maria ha salutato i genitori per l'ultima volta. Ricordo che le hanno detto di ricostruirsi una vita, di cercare di tornare ad essere felice, ma di non dimenticare la sua famiglia. Io non riuscirei mai a fare una cosa simile: non riuscirei mai ad andarmene sapendo che per la mia famiglia, che è rimasta, la morte è certa. Non riuscirei mai a vivere con questo peso. Dico così adesso, perché non mi è mai capitata una situazione simile e mi auguro non mi capiti. Ma se fossi stata costretta e fossi fuggita proprio come Maria, anche io mi sarei battuta per riavere ciò che mi era stato tolto: dall'opera d'arte al più piccolo oggetto. Mi sarei battuta per qualsiasi cosa solo per far capire anche agli altri sopravvissuti che quello che è stato fatto è sbagliato e che bisogna “farsi sentire”.
Ricordare, come Maria, un'opera d'arte sequestrata per me è molto importante. Importante come ricordare tutte le persone che sono morte in quell'inferno. Se non le ricordiamo noi che siamo il futuro, chi le ricorderà? Solo noi possiamo far sì che un avvenimento del genere non riaccada, mantenendo vivo il ricordo. Solo affrontando il passato e ricordandolo si può costruire un futuro migliore. Come possiamo costruire un futuro migliore senza sapere che quello che stiamo facendo è migliore di quello che è stato fatto? Dobbiamo ricordare, ricordare e ricordare ancora. Questo film mi aiuta farlo: mi aiuta a ricordare.
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